Premessa
Gli operatori stanno vivendo una situazione incredibile che nessuno si sarebbe aspettato, almeno così. Un incremento dei costi di trasporto con l’allungamento dei tempi si era già visto nel 2017, ma si era poi normalizzato.
Con il Covid-19 è arrivato anche questo. L’infido virus forse non è il solo responsabile, ma sicuramente è stata la scossa iniziale. L’onda spostandosi colpisce tutto e dove non ci siamo attrezzati la conseguenza è peggiore.
Prima sono spariti i container o sono diventati estremamente cari i noli e poi anche le altre forme di trasporto sono state intaccate, venendo prese d’assalto per rimediare alla scarsità e ai costi elevati, come un’onda di tsunami che si è allargata dall’Asia al resto del mondo e non pare voler calare. In vero sul lato container a settembre si registra una stabilizzazione dei costi con una riduzione dei costi sulle rotte dall’Asia Pacifica alla costa occidentale degli Stati Uniti. Da valutare se si tratta di un’inversione di tendenza. Le “break bulk rates” continuano ad aumentare così come si registra una congestione dei porti in Asia e costa occidentale degli US.
Del 29 settembre scorso una lettera in cui l’IRU, l’organizzazione mondiale del trasporto su strada, la IATA, l’Associazione Internazionale del Trasporto Aereo, l’ICS, la Camera Internazionale della Navigazione, e l’ITF, la Federazione Internazionale dei Lavoratori dei Trasporti, si sono riuniti per fare un appello urgente ai capi di governo del mondo e alle Agenzie delle Nazioni Unite per rimuovere le restrizioni che ostacolano la libera circolazione dei lavoratori dei trasporti, e garantire e facilitare il loro movimento libero e sicuro lamentando altrimenti il rischio del collasso dei trasporti globali.
A discapito della ripresa, molte imprese italiane si sono trovate in difficoltà per la scarsità di approvvigionamento dei materiali. La situazione ci porta a ripensare a un modello a cui eravamo abituati. Va valutato se questo trend di deglobalizzazione ci imporrà di ripensare a produzione e approvvigionamento più prossimi. Non tutti hanno questa facoltà e richiede comunque tempo.
Evidentemente sarebbe necessario l’intervento delle autorità, in particolare Anti-trust, a cominciare da quella UE, per verificare cosa sta succedendo in certi frangenti, ma nel mentre l’operatore si trova a fronteggiare una crisi e vuole poter quantomeno mitigare le conseguenze.
Cosa c’entrano gli Incoterms® e i contratti internazionali?
Evidentemente tutto questo ha una ripercussione sui contratti ed evidenzia ancor più la necessità di una gestione oculata degli Incoterms® e di un’attenta valutazione delle clausole che le parti potrebbero affiancare ad integrazione.
C’è un adagio che per anni ho sentito ripetere: “vendi CIF e compra FOB”. Sembra che ora si sia rovesciato. Con costi del 400% in più e tempi biblici, compratori e venditori preferirebbero scaricare sulla controparte questo costo e il rischio di ritardi.
La reazione può essere pratica, come ad es. ricorrendo al groupage. Tuttavia, bisogna essere nella condizione di poter farlo.
Quanto ci possono aiutare gli Incoterms®?
In questo contesto la conoscenza approfondita degli Incoterms® combinata con il loro corretto uso, integrato da soluzioni contrattuali ad hoc, può contribuire quanto meno prevedendo e allocando rischi e rimedi in maniera consapevole.
Iniziamo dal dire che la conoscenza degli Incoterms® permette di valutare meglio i rischi, definendoli. Pare una banalità, ma come in questa situazione assume maggior importanza per l’operatore.
Ad esempio, parlando di tsunami, viene in mente il caso di quello giapponese del marzo 2011, che ha distrutto il terminal container di Sendai, e molte centinaia di carichi in attesa di essere spediti sono stati danneggiati. I venditori che usavano la regola FCA si sono trovati non responsabili delle perdite; chi usava il FOB si è trovato responsabile di perdite che avrebbero potuto essere evitate. In una situazione come questa, compratore e venditore devono valutare la differenza tra queste rese ancor di più. L’allungamento di tutti i tempi costringe a valutare meglio tutti i rischi, compreso il perimento o danneggiamento al porto di “loading”.
Prendendo un altro esempio, si è visto come pur di spedire gli operatori abbiano accettato di rivolgersi a navi di oltre i 25 anni. Come gestiamo il rischio connesso e l’assicurazione? Come noto, con i nuovi Incoterms® 2020, CIF prevede come obbligo solo il minimo dell’assicurazione (clausola C), mentre la resa CIP stabilisce una copertura clausola A completa. Compratore e venditore devono valutare bene cosa e come assicurare, eventualmente modificando nel contratto l’obbligo del venditore per l’assicurazione.
Quali clausole considerare nel contratto?
Per evitare costi e rischi del trasporto, si assiste, da parte di compratori e venditori, a tentativi di spostare sulla controparte tale onere, mentre prima il controllo del trasporto poteva essere considerato un vantaggio. Tuttavia, per il venditore può non essere comunque un’ottima idea. Soprattutto in caso si siano accordate determinate condizioni di pagamento alla spedizione dei materiali, anche il compratore potrebbe avere il problema di trovare un nolo, ritardando la spedizione e quindi il momento dell’incasso, se pur garantito da lettera di credito o da altra security. In questo caso, quindi, dovrebbe esserci nel contratto e nel credito documentario, qualche forma di rimedio che consenta al venditore di poter incassare comunque, magari contro una fede di deposito.
Per contro, ad esempio, sempre a favore del venditore, se sono previste nel contratto penali per ritardo nella consegna, con rese dei “vecchi” gruppi “C” e “D” (secondo la ripartizione pre Incoterms® 2010) è opportuno dotarsi di clausole che consentano l’estensione del tempo.
Sarebbe ideale avere clausole che consentano al contempo di rivedere il prezzo in maniera automatica, magari con formule di escalation o con formule “cost plus fee” o agganciate ai dati delle associazioni riconosciute che registrano queste variazioni.
Facile a dirsi ma forse difficile da ottenere. È evidente che il compratore non voglia tali previsioni, che diminuiscono la certezza di un prezzo fisso a cui aspira.
Forse, in questo contesto, per certi settori, si possono prevedere delle soglie in una specie di exotic option: sopra e sotto di un certo livello rispetto ai dati raccolti delle associazioni menzionate, il prezzo contrattuale si alza ma anche si abbassa, favorendo così non solo il venditore ma anche il compratore; mentre, all’interno della soglia, rimane stabile.
Hardship
In alcuni ordinamenti come il nostro è possibile sollevare eccezioni previste per legge, come l’eccessiva onerosità, indipendentemente dalla previsione contrattuale. Se ricorrono certe condizioni, la parte colpita può chiedere: o la revisione dei termini o la risoluzione del contratto. Il compratore magari, pur di non vedersi cancellato un contratto senza avere le merci, di cui necessita, potrebbe essere favorevole a un accordo.
Tuttavia, anche quando l’ordinamento prevede questo sistema di aggiustamento, va detto che è di difficile applicazione. Nel nostro ordinamento l’eccessiva onerosità deve essere dovuta al “verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili” (1467 c.c.). Se per i contratti precedenti dicembre 2020 (quando c’era un incremento ma non si vedeva ancora l’“onda” che si sarebbe abbattuta sui nostri “porti” – appunto rispettivamente “nami” e “tsu” in giapponese) forse si può dire. E’ possibile sostenerlo ora se andiamo a firmare un nuovo contratto?
Nei contratti internazionali si parla di “hardship” assimilandolo alla nostra eccessiva onerosità.
Tuttavia, in particolari sistemi, appartenenti a quello che la sistematologia definisce come di “common law”, non riconoscono tale previsione se non – appunto -inserita specificatamente nel contratto. L’hardship è diversa dalla forza maggiore in quanto la prestazione non è impossibile ma “solo”, si fa per dire, più onerosa. Per altro, va detto che la distinzione tra civil e common law in questa materia è più tenue, perché paesi come la Russia e la Francia (non certo eredi giuridicamente della perfida Albione) applicano con difficoltà questo istituto più forse che da noi. Al pari la Germania prevede l’hardship, ma amici avvocati tedeschi mi assicurano che avrei difficoltà a farla riconoscere in questo contesto.
Potremmo vedere cosa dicono gli standard uniformi internazionali.
I principi UNIDROIT contengono una mitigazione, ma vanno espressamente richiamati per essere applicabili.
Su questo tema sarebbe da aprire un discorso a parte sulla scelta di un arbitrato rispetto a i giudici di un paese per risolvere i conflitti delle parti in un contratto: gli arbitri forse sono più propensi a un’applicazione “mitigatrice – estensiva” in un’ottica di “lex mercatorum”. Non ci dilunghiamo qui.
Andrebbe quindi o richiamata una previsione che li consideri o, meglio ancora, inserita una clausola espressa, magari menzionando chiaramente tra le cause incrementi anomali del costo del nolo o ritardi connessi.
ICC ha predisposto una clausola standard per questa situazione ma anche questa va adattata al caso che stiamo vivendo.
Possiamo dire che è Forza Maggiore?
Difficile sostenere che ci troviamo nella forza maggiore per quanto si diceva, se non altro sull’impossibilità. Inoltre, la scusa della forza maggiore può essere usata per non essere responsabile per ritardi ma lascia aperta la questione di chi si assume il rischio e i costi connessi. Vedi il maremoto in Giappone.
Ma cosa facciamo se il contratto non prevede nulla e non posso applicare una norma nazionale?
Subisco e basta la scelta tra a) abbandonare ingiustificatamente il contratto con il rischio di una causa e magari il tiraggio delle garanzie bancarie se rilasciate o b) dare esecuzione a un contratto assolutamente in perdita o che non conviene più? Una speranza ci potrebbe essere ancora se la legge applicabile consente il richiamo della Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili (CISG) e il contratto non ne esclude l’applicazione.
L’art. 79 GISG prevede, infatti, che in un contratto di vendita un cambiamento di circostanze di cui non ci si poteva ragionevolmente aspettare di aver tenuto conto, rendendo la prestazione eccessivamente onerosa (“hardship”), può qualificarsi come un “impedimento” ai sensi dell’articolo 79(1). Il linguaggio dell’art. 79 non equipara espressamente il termine “impedimento” ad un evento che rende la prestazione assolutamente impossibile. Pertanto, una parte che si trovi in una situazione di hardship può invocarla come esenzione dalla responsabilità ai sensi dell’art. 79 cit.
Come si capisce quale legge si applica? E chi decide?
Gli Incoterms® anche qui possono aiutare “indirettamente”.
Per sapere qual è la legge applicabile al contratto sarebbe opportuno averla scelta ed espressamente indicata nel contratto. Se non c’è, va individuata. Il giudice competente, che è chiamato a risolvere i conflitti tra le parti deve applicare, a tal fine, il proprio diritto internazionale privato per stabilirla in caso di “internazionalità” del rapporto. In alcuni casi il diritto internazionale privato richiama o è sostituito da norme di conflitto internazionali contenute in convenzioni o come da noi in Regolamenti Unionali. Ma non sempre è così: va quindi prima individuato qual è il giudice competente.
Andrebbe definito nel contratto ma se non è identificato?
Per esempio la Cassazione a Sezioni Unite nel nostro sistema, con sentenza del 31/05/2016, n. 11381, ha stabilito che “in tema di vendita internazionale a distanza di beni mobili, il giudice chiamato a decidere sulla propria giurisdizione deve applicare il criterio del luogo di esecuzione della prestazione di consegna … con possibilità di far ricorso, ai fini dell’identificazione del luogo, ai termini e alle clausole generalmente riconosciute nel commercio internazionale, quali gli Incoterms®, purché da essi risulti con chiarezza la determinazione contrattuale”.
Conclusione
Se pur solo abbozzata la materia, speriamo questo modesto contributo possa suscitare la curiosità del lettore ad approfondire queste tematiche diffondendo la conoscenza dei termini del commercio internazionale e nazionale. Se Incoterms® è la lingua universale dell’operatore internazionale, questo, come l’avventuriero avveduto che si lancia in una nuova esplorazione in terre lontane, in caso di tsunami, deve saper come comunicare il segnale di SOS – “Save Our Ship”.
Head of Contracts
Financing and Contracting
Danieli & C. Officine Meccaniche S.p.A.
Il presente contenuto esprime solo opinioni di chi scrive e non dell’organizzazione a cui appartiene o dell’ICC e comunque non ha valore di parere e deve essere oggetto di approfondimento con l’autore.